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In ricordo di Maja Fersen

maja fersen

Il 29 gennaio si è spenta a Roma Maria (Maja) Aleksandrovna Fersen. È stata sepolta nel cimitero del Testaccio a Roma dove riposa anche suo padre.

L’Associazione culturale Rus’ ha voluto ricordarla con un articolo, “Storia alle spalle – Esuli russi in Sudtirolo”, scritto nel lontano 1986, anno in cui avevo raccolto personalmente i suoi ricordi. L’avevo conosciuta allora quando mi ero occupata della colonia di esuli russi che vivevano a Siusi.

Maja Fersen insegnava allora presso la scuola media di Castelrotto. Veniva spesso a trovarmi a Bolzano, era molto gentile, allo stesso tempo raffinata ed elegante nei suoi modi. Con piacere mi raccontava le sue origini e la storia della sua famiglia. La contessa Maja Fersen era una dei figli di Aleksandra Fersen, nata Šuvalova, nata a San Pietroburgo. Aveva perso il padre all’età di 12 anni, nel 1905. Egli era stato viceprefetto ad Odessa ed in seguito a Mosca. Ogni martedì, giorno di udienza, partendo dalla campagna dove abitavano, si recava con la famiglia a Mosca. Fu proprio di martedì, l'11 luglio, che venne ucciso.

La contessa Aleksandra si sposò col conte Dmitrij Leonidovič Vjazemskij da cui ebbe due figli, ma presto rimase sola. Il marito venne fucilato il 2 marzo 1917. L’anno dopo venne ucciso anche il fratello maggiore Boris. Poco tempo prima tutta la famiglia aveva rischiato la vita. Racconta Maja Fersen che un gruppo di soldati nel ‘17, dopo la rivoluzione, circondata la casa nella quale la famiglia di sua madre viveva a Pietroburgo, era entrato per perlustrare le stanze: cercavano armi. In una sala c'era un armadio pieno di fucili da caccia… ma il riverbero del sole sul vetro dell’armadio abbagliò i soldati impedendo loro di vedere ciò che vi era contenuto… Si salvarono così, per un colpo di fortuna.

La giovane vedova, di appena 24 anni, era rimasta con due bambini piccoli. Nel 1919 riuscì a scappare dalla Russia e fuggì in Crimea. Nel loro esodo decisero di vagare un po’ in tutta l'Europa soggiornando dapprima in Inghilterra, poi in Francia, poi ancora a Malta ed infine a Roma. Anche altri membri della famiglia, tutti di origine nobilissima, vennero in Italia: i nonni, la zia Ol'ga e la zia Varvara Dolgorukaja, sorella della nonna, che raccolse i ricordi di famiglia in un libro autobiografico in lingua inglese tradotto anche in italiano ”Russia 1885-1919”, testimonianza autentica e spontanea di come vivevano le grandi famiglie dell'aristocrazia russa alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento.

Nel 1921 Aleksandra Pavlovna si risposò a Londra con il conte Aleksandr Fersen, allora venticinquenne, che aveva lasciato la patria nel 1920 insieme al resto dell’armata del generale Vrangel’. Si erano già conosciuti da giovani, quando lei aveva sposato Dmitrij Vjazemskij.

Anche i Fersen costituivano una grande famiglia; erano riusciti a creare un nucleo unito, avevano mantenuto la propria lingua, le abitudini, si erano integrati tuttavia nella vita quotidiana e nel lavoro. Lo zio di Fersen, Pavel, nel ’19, aveva ancora chiesto di potersi arruolare nell'Arma Bianca. C'era stato, infatti, ancora un illusorio tentativo di combattere i bolscevichi.

In seguito, i conti Fersen vennero in Italia dove nacquero le figlie Sofia e Maria. La felicità famigliare della contessa Aleksandra non durò però a lungo: Sofia aveva appena compiuto sei anni e Maria un anno quando nel ’34 il loro padre morì. Fu sepolto nel cimitero del Testaccio a Roma. L’anno successivo trascorsero la prima estate a Siusi. Ancora una volta la natura aveva fatto presa sull'anima russa. Ritornarono l'estate successiva e quella dopo ancora finché la contessa Fersen decise di prendervi definitivamente domicilio insieme alle due figlie nel 1937. Molti si ricordano di questa bella signora elegante che passeggiava con le sue figliole in paese. Gli altri figli vivevano in Francia. Aleksandra si era adeguata a vivere a Siusi. Durante le festività religiose mandava a chiamare il sacerdote che celebrava la messa col rito ortodosso per questa piccola comunità e si era così integrata nella vita cittadina, pur rimanendo sempre apolide e pur tra difficoltà non aveva mai voluto rimpiangere il passato e la propria terra lontana. Era stata membro della Fondazione “Borodine” di Merano come molti anni più tardi lo fu anche Maja.

A Siusi venne a trovarle anche la zia Ol’ga, che vi conobbe il conte Aleksej Bobrinskoj. La sua villa era un luogo di riferimento per gli aristocratici russi che venivano in villeggiatura come gli Šeremetev, i Volkonskij, gli Jusupov, i Golicyn (che nella grafia francese diventa Galitzine), gli Širkov e naturalmente la contessa Fersen. Spesso si riunivano per bere il tè conversando, rievocando ricordi del passato o giocando a scacchi o a bridge …

La contessa Aleksandra, morta il 7 febbraio del 1968, riposa nel cimitero di Castelrotto. Le figlie hanno seguito la loro strada; Maja, dopo essere vissuta per molti anni a Siusi, si trasferí a Roma. Grazie ai loro ricordi ci sono rimaste molte testimonianze della vita dei Bobrinskoj.

Ma vorrei ancora raccontare qualche episodio dei ricordi della famiglia di Maja Fersen, raccolti nel libro autobiografico della zia Varvara Dolgorukaja; gentilmente Maja me ne donò due copie - una scritta a mano e l’altra stampata - entrambe in lingua inglese ed un’infinità di splendide fotografie…

Quella dei Dolgorukij era una delle più antiche famiglie aristocratiche russe. Erano discendenti da Rurik capo normanno che coi fratelli Sineus e Truvoi era approdato, nel 866, sulla costa russa. Juri Dolgorukij, già sovrano di Rostov e Suzdal’, fu il fondatore di Mosca nel 1147. La nobiltà in Russia non esisteva, vi era stata introdotta proprio dai normanni. Pietro I aveva cercato di creare categorie di nobili in base ai meriti, in modo tale che solo poche famiglie fossero di vero stampo nobile antico, i discendenti dei primi principi, come appunto i Dolgorukij, i Šeremetev, i Voronzov, i Golicyn...

Il diario è molto interessante; è uno specchio della vita dei nobili di quegli anni e un susseguirsi di ricordi, di dolci ricordi della propria terra, dei propri cari e dei posti legati all’infanzia, alla gioventù, ai vari avvenimenti della sua vita di donna, fino al dramma che stava avvicinandosi della rivoluzione, l'angoscia di dover fuggire, il dolore di perdere tutto ed il presentimento di non poter più tornare.

Tra i luoghi più amati c'era la villa che la famiglia possedeva in Crimea. Sovrastata dalle montagne del Caucaso in riva al Mar Nero, era circondata da pini, cipressi, uva. fichi e... minareti. Legate a questi luoghi c'erano le persone più care, dai parenti ai servitori coi quali vivevano d'accordo.

Una delle nonne di questa zia Varvara era una Naryškina come la madre di Pietro il Grande, che aveva donato alla famiglia una vasta proprietà che la nonna trasmise poi alla figlia in occasione del matrimonio. Dal mar d’Azov a Kozlov era tutto di loro proprietà… Suo padre si era dato molto da fare per renderla una proprietà esemplare. Essa comprendeva una fabbrica di zucchero e mulini moderni. Interessante è la descrizione della fine stagione quando tutte le famiglie del villaggio si accampavano nei campi per la raccolta delle barbabietola e della festa che seguiva.

Nella galleria di ritratti dei suoi parenti spicca quello della zia Aleksandra (sorella del padre), chiamata in famiglia alla francese Alexandrine, che pare avesse avuto un'amicizia sentimentale con Alessandro II. Lo zar si era invaghito di lei tanto da metterla in difficoltà perché era dama di compagnia e al tempo stesso amica della zarina. Grazie al suo charme seppe farsi voler bene da entrambi. Nella “Storia della Russia” del Giterman però la nobile zia appare meno… diplomatica di quel ci racconta Varvara Dolgorukaja:

«Già più che sessantenne lo zar, che si era preso per amante una beltà della più alta aristocrazia di tre decenni più giovane di lui: Alexandrine Dolgorukaja, ed ogni sera si recava in incognito, in carrozza chiusa, nella lussuosa villa di lei sempre temendo di cadere in un’imboscata dei terroristi.» Per questa relazione erano molto irritati i familiari del monarca e sembra che tra Alessandro e l’erede al trono ci fossero state scene violente. Nel giugno del 1880 dopo lunga malattia morì l'imperatrice. Appena sei settimane dopo lo zar strinse con Alexandrine un matrimonio morganatico. Ella ricevette il grado di principessa (Jurevskaja) ed Alessandro aveva l' intenzione di elevarla ufficialmente ad Imperatrice. Questa condotta abbassò agli occhi del popolo il prestigio di Alessandro, tanto più che l'ambiziosa dama nel suo cuore non esitava ad immischiarsi anche in affari politici e proteggeva parenti e amici giocatori in borsa e di questa si parlava in giro. «Ma forse non si trattava della stessa principessa…»

Un altro episodio che ho trovato avvincente, curioso e romantico risale agli anni successivi alla rivoluzione francese. La trisnonna, principessa Šachovskaja, vissuta dal 1773 al 1796 aveva vissuto a Parigi. Sua figlia Elizaveta che era con lei a Parigi si innamorò e sposò il principe Louis Marie d’Aremberg il cui fratello, amico di Maria Antonietta, aveva partecipato alla rivoluzione olandese e poi a quella francese. Pare che avesse tentato, inutilmente come è noto, di salvare la vita al re Luigi XVI e a Maria Antonietta. L’imperatrice Caterina II che era venuta a conoscenza di questo episodio si era adirata ed aveva ordinato a madre e figlia di ritornare in patria… senza il principe. Egli, considerato un rivoluzionario, non poteva entrare in Russia. La leggenda dice però che il conte alla frontiera si era fatto passare per giardiniere e si dice che la principessa, risposata ad un cugino, ricevesse visite… Rimase incinta, e fece una confessione al marito che per la disperazione si gettò dal balcone della loro casa al n° 12 della Prospettiva Nevskij. Nacque una bambina, Varvara, che divenne la nonna del nonno Šuvalov. La madre si avvelenò e morì nella stessa casa lasciando una lettera che la bambina non ebbe mai il coraggio di leggere. Nel corso degli anni e dei secoli, le vicende personali e gli eventi storici dei Dolgorukij si intrecciarono molte volte con quelle degli zar. Il Gitermann ci racconta che prima di morire Caterina I aveva designato suo erede Pietro II che allora aveva 12 anni. Menšikov favorito di Caterina aveva spadroneggiato nel palazzo ed aveva cercato di divenire tutore del giovane zar. Questi si era ribellato ma era poi caduto sotto l'influsso la famiglia dei Dolgorukij, tanto da fidanzarsi con una principessa di quella stirpe. Ma il 6 gennaio 1630 lo zar si ammalò di vaiolo, morì nel mattino del 19 gennaio proprio nel giorno fissato per le nozze. Successe a Pietro II la duchessa Anna Ivanovna e durante il suo regno la famiglia dei Dolgorukij cadde in disgrazia e perse ogni potere a Corte. Il destino aveva già avversato precedentemente l’unione di uno zar, il primo dei Romanov, Michail Fëdorovič, con una principessa Dolgorukaja, Maria Vladimirovna. Il matrimonio era avvenuto il 7 settembre 1623. Ci fu una grande festa al Palazzo “Granovitaja” nel Cremlino ma il giorno dopo la zarina si ammalò e morì il 6 gennaio 1624.

Un altro eminente antenato della famiglia nominato nel libro fu Ivan Ivanovič Šuvalov. Egli era vissuto tra il 1727 e il 1797. Fu merito suo, della sua «autoritaria insistenza» e grazie anche al suo mecenatismo che venne fondata a Mosca la prima università russa nel 1755 che prese il nome di «Lomonosov» dal grande scienziato russo amico di Šuvalov. Fu Ivan Ivanovič Šuvalov insieme al fratello a diffondere in Russia la cultura francese e a divulgare i nomi di Rousseau, Voltaire e degli enciclopedisti. Nel 1757, grazie ancora al suo intervento venne fondata a Pietroburgo un’Accademia delle Belle Arti dove insegnarono tra gli altri anche il pittore Lorraine, e lo scultore Gillet.

I principi Dolgorukij erano sempre a corte e un bel ricordo della zia scrittrice furono anche i balli che si tenevano nel palazzo d'Inverno. «Essi erano - scrive Varvara Dolgorukaja - di una indescrivibile magnificenza». Le sale erano illuminate da candelieri e gli abiti erano bellissimi soprattutto quelli delle feste in costume, che si tenevano a Carnevale. Uno dei più belli, in costume antico russo, fu anche l'ultimo nel 1903. Lo zar Nicola II ultimo dei Romanov indossava l'abito che era stato del secondo zar della sua dinastia Aleksej Michalovič, il padre di Pietro il Grande. Sembrava quasi profetica questa sua scelta, morirà giovane come il suo predecessore.

Grazie Maja Aleksandrovna Fersen dei Suoi ricordi!

Che la terra Le sia lieve!

Bianca Marabini Zoeggeler

 

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